Quando i processi durano troppo si puo’ chiedere un (equo?) indennizzo! PDF Stampa E-mail
  
Venerdì 01 Aprile 2016 00:00

QUANDO I PROCESSI DURANO TROPPO SI PUO’ CHIEDERE UN (EQUO?) INDENNIZZO!
Non si tratta, purtroppo, di un mero luogo comune, di un cliché, ed è invece proprio la (triste e dura) realtà: i giudizi in Italia durano non tanto, bensì tantissimo tempo, almeno se li confrontiamo con gli standards europei ed internazionali.
La ragionevole durata dei processi è senz’altro uno dei canoni fondamentali dello Stato di diritto, non a caso inserito tra le prime previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata dal Consiglio d’Europa nel lontano 1950.
L’Italia, avendo recepito la CEDU nel 1955, ha assunto, tra gli altri, l’obbligo di rispettare tale diritto. Tale obbligo è stato sempre assolto con molta difficoltà dal nostro Paese, che si è visto citato in giudizio e condannato più volte da parte della Corte europea dei diritti umani che, in assenza di un’adeguata normativa nazionale, ha dovuto garantire un equo ristoro alle vittime per il danno subìto, il cui rimborso è costato al nostro Paese diversi milioni di euro, sottratti così a quegli investimenti che, favorendo il miglior funzionamento della macchina giudiziaria, avrebbero potuto risolvere il problema alla radice.
L’incancrenirsi del fenomeno ha portato alla paralisi delle attività della Corte di Strasburgo, che si è trovata costretta a intimare al nostro Paese l’adozione di strumenti legislativi adeguati, allo scopo di riportare nell’ordinamento italiano cause che dovevano effettivamente essere risolte anzitutto nell’ordinamento interno. L’intimazione della Corte europea ha certificato l’inadeguatezza tanto del recepimento della CEDU da parte dell’Italia quanto dell’iniziale risposta del legislatore nazionale.
Tuttora, tra i “non addetti ai lavori”, i dubbi sulla proposizione di un ricorso di questo tipo sono molti e di varia natura.
Il primo dei dubbi, in genere, è sul quantum: “Avvocato” mi chiedono “ma ne vale poi la pena?”. E la mia risposta costante, sul punto, è che l’”equità” (AEQUITAS, nel senso di principio di giustizia EFFETTIVA e universalmente condivisibile) dell’indennizzo (almeno stando agli attuali parametri normativamente fissati) sta tutta nel rispetto del principio ab initio richiamato quello fondante dello Stato di Diritto, prescindendo dalla più prosaica quantificazione di un danno che in fondo è davvero difficile stabilire con precisione. Certo, è importante all’uopo precisare che una certa somma sempre si realizza.
Molti, poi, si chiedono se, ad esempio, un ricorso ai sensi della Legge Pinto possa proporsi in costanza di causa: la risposta, almeno stando alla più recente giurisprudenza di legittimità, è che in pendenza di giudizio non è possibile avanzare istanza di indennizzo. Sul punto, recentemente, è stata persino chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, la quale ha affermato un concetto molto preciso, quello dell’inadeguatezza dello strumento del tipo di ricorso previsto dalla normativa di cui alla Legge Pinto, ed ha anche formulato un auspicio che ci si augura non venga disilluso o dimenticato: ovvero, quello dell’opportuno adeguamento dei mezzi e della previsione di rimedi idonei per il configurarsi, in difetto, di un’irragionevole disparità di trattamento con coloro i quali nemmeno –ancora- hanno potuto “ammirare” (se non soccombenti) la definizione di un proprio procedimento.
Vi invito a contattarmi in caso di necessità di ulteriori informazioni sul tema!
A presto!     
Avv. Luigi Pompei
mail@colpodocchio.com
studio@legalepompei.com

 

 

 

Ultimo aggiornamento ( Lunedì 04 Aprile 2016 09:06 )