Conviene convivere o sposarsi? PDF Stampa E-mail
  
Venerdì 01 Aprile 2016 00:00

CONVIENE CONVIVERE O SPOSARSI?
Fino a pochi anni fa una domanda del genere non sarebbe affatto stata contemplata, la convivenza stessa era un fenomeno sociologico affatto preso in considerazione, tant’è che era uso, si sa, sposarsi molto (anche troppo) giovani, talora non per propria scelta, ed era, spessissimo l’unica occasione per “uscire di casa” e iniziare a “sperimentare” nel mondo esterno, fuori dal nucleo familiare originario ed in autonomia dal medesimo (penso soprattutto, storicamente, al mondo femminile).
Sempre più spesso, nell’ultimo periodo, mi capita di affrontare con le persone, dietro specifiche e sempre più numerose richieste, le questioni relative a quelli che sono i diritti/doveri reciproci connessi ad una convivenza more uxorio, in particolare nel frequente caso in cui detta tipologia di unione venga allietata dall’arrivo di un bebè (o più d’uno!), rispetto, invece alla scelta “contrattualistica” (nella maggior parte dei casi sostenuta da forti motivazioni religiose) effettuata da una coppia che opti per il matrimonio, per la tradizionale unione in Chiesa e/o al Comune.
La domanda, di cui al titolo scelto per questo breve intervento per la nostra ormai, mi dicono, seguitissima rubrica (n.d.r. per la quale ringrazio ancora una volta gli amici di “Colpodocchio”) può, com’è naturale che sia, riguardare moltissimi aspetti, oltre a quello citato della filiazione cd. “legittima” o “naturale” (tra le quali non sussisterebbe -giuridicamente parlando- ormai è noto, più alcuna differenza): in primis, mi viene in mente il profilo legato alla successione ereditaria, o alla dichiarazione dei redditi, o finanche alla fissazione della propria residenza, o all’acquisto di un immobile o alla propria ristrutturazione.
Insomma, in sintesi, per ogni questione la coppia si trovi ad affrontare, sia essa di considerarsi o meno una “famiglia”, nel fisiologico svolgimento della propria esistenza e delle proprie naturali funzioni, sembra quasi che la medesima si trovi sempre e comunque di fronte ad un bivio, a quello che quasi verrebbe da definire come il “dilemma del nuovo millennio” (per ribadire, come inizialmente dicevo, che, fino a non molto tempo fa, la problematica nemmeno si poneva, perché proprio non se ne parlava, o forse, non se ne poteva parlare!).
Quello che mi interessa, qui, sottolineare è che il mancato riconoscimento fiscale delle famiglie di fatto, paradossalmente, è discriminante nei confronti delle famiglie riconosciute. Basti pensare ai profili seguenti, indicati puramente a titolo esemplificativo: calcolo dell’indicatore I.s.e.e., detrazioni I.r.pe.f. per figli a carico, assegni al nucleo familiare, esenzioni ed agevolazioni per ticket sanitari, accesso alle liste degli asili nido, concessione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (cd. “case popolari”), sostegno all’affitto, assegno sociale, integrazione al trattamento minimo e maggiorazioni sociali, pensione di reversibilità … e chi più ne ha, più ne metta.
Ciò che posso affermare, conclusivamente, è che non è affatto semplice e, direi, sarebbe utopico, anche solo tentare di dare una risposta univoca (men che meno, esaustiva!) all’iniziale domanda. Per qualunque scelta di vita si propenda, tuttavia, resta mio onere di professionista del settore legale, dire “uomo (e donna!) avvisato (/a), mezzo (/a) salvato (/a)!”, ovvero (ritornando nell’aura di un maggior tecnicismo) invitare chiunque si trovi di fronte ad una scelta del genere (n.d.r. SI RICORDI CHE ANCHE NON SCEGLIERE E’UNA FORMA DI SCELTA!) ad informarsi sulle conseguenze di qualunque strada si scelga di percorrere, il che non è così scontato come può sembrare.
Ricordiamo ai nostri lettori che lo studio legale è a vostra disposizione per ulteriori domande e chiarimenti.

Avv. Clino Pompei
mail@colpodocchio.com
avv.difamiglia@gmail.com

 

 

Ultimo aggiornamento ( Lunedì 04 Aprile 2016 08:51 )