Uno dei principi più importanti e più radicati che caratterizza i rapporti negoziali, dal loro nascere fino alla loro estinzione, è certamente il principio di buona fede. Per essere chiari e permettere una più semplice comprensione, precisiamo subito cosa si intende con la definizione “buona fede”. La nozione di cui all’oggetto prevede una duplice considerazione poiché bisogna tenere conto dell’aspetto soggettivo e dell’aspetto oggettivo. Nell’accezione soggettiva, la locuzione “buona fede” fa riferimento allo stato psicologico di una delle parti che agisce ignorando di ledere un eventuale altrui diritto. Sotto l’aspetto oggettivo, invece, si ritiene che il principio di buona fede imponga alle parti di mantenere un comportamento inerente alle regole di legalità, onestà, correttezza così da porre in essere una condotta che, non determinando un eccessivo sacrificio personale, assicuri comunque al contraente di poter adempiere correttamente alla propria obbligazione. Questo, certamente, in un’ottica di rispetto del rapporto sussistente tra le parti senza che nessuno “abusi del diritto”. È corretto, quindi, ritenere che le parti di un rapporto negoziale devono rispettare gli inderogabili doveri di solidarietà sociale (di cui all’art. 2 della Costituzione), ponendo perciò un limite alla loro autonomia privata, stando attenti a non ledere volontariamente, coscientemente e colposamente la posizione della propria controparte. Orbene, precisato cos’è il principio di buona fede e quale ruolo svolge all’interno di un rapporto negoziale, è opportuno concentrarsi sugli “effetti” che quest’ultimo produce all’interno di una procedura esecutiva. Ogni parte dell’esecuzione, a partire dal creditore procedente, ai creditore intervenuti, passando per il debitore esecutato fino a terminare con il terzo acquirente, devono tutti assumere un comportamento tale da non ledere colposamente l’altrui posizione, rispettando il principio generale di solidarietà sociale. Non a caso il debitore non è tenuto a porre in essere atti di disposizione sui beni posti sotto esecuzione o il creditore non è tenuto a realizzare patti commissori. Se il debitore ed il creditore assumono comportamenti corretti, nel rispetto di loro stessi e della procedura esecutiva, verrà tutelato anche il terzo acquirente. Quest’ultimo, infatti, ignaro di quelle che possono essere le dinamiche della procedura esecutiva, acquista il bene così come periziato e al prezzo ed alle modalità di cui all’ordinanza di vendita. È chiaro quindi che il principio di buona fede permea totalmente ciascuna parte processuale tanto che l’eventuale contrario, e quindi la sussistenza della mala fede, tale da inficiare, modificare o alterare l’esito dell’esecuzione, deve essere opportunamente provata da una delle parti interessate per essere fatta valere in giudizio. La sussistenza della buona fede ex se, peraltro, tutela le parti da eventuali giudizi incardinati da terzi che vantano propri diritti: un esempio può essere rappresentato dal terzo che vorrebbe far valere un preliminare di compravendita sottoscritto con il debitore prima dell’iscrizione del pignoramento; altro esempio può essere rappresentato dal coniuge dell’esecutato che vorrebbe far valere la costituzione di un fondo patrimoniale, di cui fa parte il bene oggetto di esecuzione, trascritto prima del pignoramento. Ogni caso è a sé ed ognuno seguirà il proprio corso, considerando sempre la buona fede delle parti processuali poiché, una posizione che dapprima potrebbe sembrare in apparenza prevalere sull’altra e meritare maggiore tutela, se nasconde un comportamento colposo e/o volto a ledere la procedura esecutiva e/o il creditore procedente, verrebbe sicuramente sanzionata, vedendo negato il proprio presunto diritto. È chiaro quindi che, nelle vendite esecutive immobiliari, il comportamento secondo buona fede tenuto dalle parti coinvolte è certamente l’elemento propulsore e determinante per la buona riuscita della procedurae oltrechè per garantire che, l’esito di quest’ultima, non venga inficiato, modificato e/o alterato laddove si dovessero riscontrare problemi legati alla mala fede delle parti. Tale principio, come già osservato, deve essere da monito per ciascuna parte di un rapporto negoziale anche e soprattutto nell’ottica del rispetto e della preservazione di quel vivere civile proprio di uno stato sociale.

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